Ogni incontro è prezioso. Franco Arminio a Macomer e Modolo per Pazza idea. CaЯatteЯe Speciale

[Cose che succedono nel centro della Sardegna mentre intorno infuria la bufera cattiva e dentro quella buona: la poesia, la geografia, l’animazione culturale, il canto, i libri, la malvasia e i cimiteri, i morti e i vivi, le parole dette e scritte, e soprattutto le persone. L’ultimo appuntamento dell’edizione 2016, eccolo]
L’ultimo appuntamento dell’edizione 2016 del festival Pazza idea. CaЯatteЯe Speciale ha raccontato con passione un tema attuale del presente e del futuro, quello della vita delle piccole comunità e dei territori. Lo scrittore, poeta e paesologo Franco Arminio è stato con noi a Macomer, venerdi 20 gennaio alle 18 presso la Libreria Emmepi, e a Modolo nel salone parrocchiale, alle 11 di sabato 21.
Per diffondere passione e ragionamento sui suoi “due amori”, la poesia e la geografia: sentimenti condivisi da molti, e in particolare dalla rappresentanza istituzionale dei sindaci del territorio.

A Macomer abbiamo trovato un freddo feroce fuori e molto calore e allegria dentro, nella storica libreria Emmepi gestita dalle brave Luciana e Stefania; le sedie non sono bastate a contenere il pubblico, che ha letto insieme al poeta alcuni componimenti di “Cedi la strada agli alberi”, in uscita per Chiarelettere il 2 febbraio.

Parole come frecce: per i “Ragazzi del Sud”, per le donne amate, per la nostra Italia; per gli incontri che cambiano una giornata, o perfino una vita. Perchè la magia, il senso di prezioso delle piccole cose, è tutto nelle parole del poeta: “abbiamo una serie di fortune lungo il giorno che attraversiamo, anche i più sfortunati di noi”. Alcune parole chiave, ricorda Emiliano Deiana che ha introdotto l’appuntamento, sono clemenza, crepa, amarezza. Franco Arminio conferma: “…Le persone ferite sono poi gli incontri che restano. Cerco l’intensità nella vita, stiamo al mondo per guardare e emozionarci, e magari emozionare, e non abbiamo bisogno di usare merci per stare al mondo, o svaligiare una banca.”

Eccola, quindi, la “crepa” in cui entra la luce, per citare Cohen: l’attenzione, di più, l’amore per la fragilità di cui tutti siamo portatori: bisognerebbe “federarle”, suggerisce Arminio. Non è una cattiva idea: si troverebbe forse una soluzione, o perlomeno una comprensione, a quel problema per cui, parafrasando Emily Dickinson, “noi che abbiamo l’anima moriamo più spesso”.
E poi, il peso del saper e voler fare, il filo che lega arte e artigianato, sapienza e volontà: “La poesia è fare le scarpe fatte bene, ho lavorato per anni su queste poesie perché volevo che tornassero, che una suonasse meglio dell’altra, come facevano i contadini o gli artigiani. Uno mica il formaggio tanto per farlo, lo fa per farlo bene”.

Cose che accadono in molti luoghi, ma che nelle comunità piccole assumono un altro significato, forse. Nella “Geografia commossa dell’Italia interna” è sempre quello, lo sguardo attento e amorevole dello scrittore campano sui paesi. E proprio Modolo, che con i suoi 172 abitanti è il comune più piccolo della Sardegna, dimostra vitalità e apertura, fatta di sentimento ma anche di problemi molto concreti raccontati dal sindaco Omar Hassan e condivisi dai colleghi dei paesi vicini.

Non sappiamo se definirli, o se vogliono essere definiti, “di frontiera”: sappiamo però per certo che nelle parole e nei visi di questi amministratori – spesso giovani che si impegnano concretamente per la loro comunità- c’è una precisa visione del presente con tutte le sue difficoltà e del futuro con le sue potenzialità, riassunte nelle parole di Emiliano Deiana, sindaco di Bortigiadas e animatore della pagina Fb “Paesitudine”: “Non sarò certo il necroforo della mia comunità, perché i paesi non moriranno, ma sono anzi il futuro”.
Frammenti di testimonianze del passato, buone pratiche e qualche ovvia criticità sono state individuate nei numerosi interventi dell’incontro. L’intento comune è quello di non disperdere le energie e le potenzialità, e soprattutto la “specialità” dei paesi, fatta anche – forse soprattutto- di relazioni, contatto, di sentirsi comunque “parte del mondo”.

E proprio quello che lo stesso Arminio definisce un grande processo di attivazione comunitaria, il canto, ha chiuso entrambi gli appuntamenti: “Nanneddu meu”, “Procurade ‘e moderare”, “No potho reposare” e l’ “Ave Maria”, e in attimo abbiamo ricordato che le conosciamo tutte, queste note, anche se nessuno ce le ha mai insegnate veramente: sono da qualche parte dentro di noi, e anche loro resistono.